Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 2-00443
Atto n. 2-00443
Pubblicato il 20 marzo 2012
Seduta n. 695
LANNUTTI , PEDICA – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’economia e delle finanze. -
Premesso che si legge su un articolo pubblicato il 16 marzo 2012 sul blog “lettera43″: «Rai, spunta il dg commissario. Monti ai partiti: poteri straordinari al direttore. Un direttore generale Rai con i poteri straordinari di commissario che sia in grado di rimettere a posto i conti della tivù pubblica. È questa l’ipotesi che, stando a quanto rivelato da fonti parlamentari e di governo, il premier Mario Monti avrebbe posto sul tavolo del vertice con la maggioranza il 15 marzo tra le reazioni non proprio entusiaste dei partiti. Secondo indiscrezioni raccolte da Lettera43.it, nelle intenzioni di Monti in pole position per la nomina ci sarebbe Enrico Bondi. Magari con Piero Angela alla presidenza, anche se il padre di Quark declina l’offerta: “Tutti mi stanno chiedendo se voglio fare il presidente della Rai. No, grazie. Penso che posso servire meglio la Rai continuando a fare il lavoro che faccio”. Nel giro di tavolo con i partiti dedicato alla Rai, sarebbero state ventilate diverse ipotesi, compresa quella del commissariamento. L’idea sviluppatasi parte proprio da qui, ma non rientra nel senso stretto del termine: nel caso della Rai, infatti, “non vi sarebbero i presupposti giuridici” per un commissariamento vero e proprio, come ha spiegato una fonte dell’esecutivo. Inoltre, la nomina di un direttore generale dai poteri straordinari potrebbe essere decisa senza una riforma della governance, visto che per modificare le deleghe del direttore generale non è necessario rivedere l’attuale legge Gasparri. Una soluzione di compromesso che potrebbe dare il tempo al governo di lavorare a una vera riforma di Viale Mazzini. L’ipotesi ha trovato l’opposizione prevedibile di Angelino Alfano, determinato come il resto del Pdl a non toccare l’attuale assetto dell’azienda: “Fare la riforma della Rai per mettere le mani sulla Rai è contro il senso di questa vicenda”, ha detto il segretario del partito. (…) Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, invece, ha insistito sul fatto che con l’attuale governance anche nomine di persone di provata qualità e professionalità avrebbero le mani legate: “Con la governance attuale una persona autorevole è destinata solo a perdere autorevolezza perché nessuno può fare i miracoli”»;
considerato che:
sul quotidiano “la Repubblica” del 28 giugno 2011 si può leggere: «Parmalat è diventata francese. L’offerta pubblica d’acquisto è andata in porto senza alcun contraccolpo e ostacolo, nemmeno flebile della decantata cordata italiana che sembrava appoggiata anche dal ministro Tremonti. In meno di 4 ore di assemblea i francesi di Lactalis hanno portato a casa la proprietà della multinazionale creata da Calisto Tanzi (ora in carcere e autore del più grande crac italiano) e nominato il nuovo presidente: Franco Tatò, ex Enel, manager di lungo corso. Una battaglia durata sei mesi, da gennaio a giugno, che ha fatto finire i sette anni del risanatore Enrico Bondi ed ha consegnato una società per molti versi assai solida nelle mani dei francesi. L’assemblea di Parmalat, iniziata alle 16,20, registra la presenza in sala del 46,7 per cento del capitale, ovvero 682 azionisti in proprio o per delega. Considerata la quota in mano ai soci francesi di Lactalis, pari al 28,9 per cento del capitale, si dà per scontata dal primo minuto la vittoria della sua lista per il rinnovo del consiglio d’amministrazione (nove posti su undici). Tre le liste in campo per il rinnovo del consiglio di amministrazione. La prima fa capo alla francese Lactalis che detiene il 28,9% del capitale sociale; la seconda presentata da Assogestioni e la terza dei fondi Skagen, MacKenzie e Zenit, i tre fondi esteri che hanno già venduto a Lactalis il 15,3% delle azioni da loro detenute. Di fatto Lactalis è presente in netta maggioranza. È costata 4,6 milioni di euro la consulenza commissionata da Parmalat a Goldman Sachs sull’opa dei francesi di Lactalis. È quanto a chiarito il presidente del gruppo di Collecchio, Raffaele Picella, rispondendo alla richiesta di chiarimento di un azionista durante l’assemblea dei soci chiamata, tra l’altro, a rinnovare il consiglio di amministrazione e il collegio dei sindaci»;
scrive Gianluca Paolucci su “La Stampa” del 29 giugno 2011: Enrico Bondi, manager di 77 anni «lascia un gruppo con 282 milioni di utile, 4,3 miliardi di fatturato e una cassa con 1,4 miliardi, in gran parte frutto delle transazioni con le banche promosse da Bondi stesso e dai suoi avvocati. E allora, perché lascia? Perché ha saputo risanare ma non crescere, dice qualcuno. Perché comunque è giusto chiudere una fase e aprirne un’altra, forse. Di certo non per ragioni anagrafiche: il prossimo presidente, Franco Tatò, di anni ne ha 79»;
a quanto risulta agli interpellanti, Bondi, il manager strapagato che la grande stampa incensa e di cui tesse le lodi, dimenticando gli incidenti di percorso come l’allontanamento coatto di Vittorio Nola, ex segretario generale di Telecom Italia, accusato di aver inserito una microspia, falsa si sa ora, trovata nell’auto in uso all’allora amministratore delegato del gruppo (Enrico Bondi, appunto). Una cimice che, a quanto risulta, nel giro di poco tempo ha consentito l’ingresso in Telecom, come capo della Security, di Giuliano Tavaroli, l’indagato numero “uno” dell’inchiesta penale in corso a Milano, è accusato del reato di calunnia nel procedimento penale;
un take dell’agenzia di stampa Adnkronos del 19 aprile 2008, dal titolo: «Dossier illeciti: giudice civile Milano chiude il caso della prima “cimice”» spiega: «Le indagini svolte successivamente hanno accertato che nessuno, a quell’epoca, all’interno di Telecom aveva cercato di captare delle informazioni. Che la cimice trovata sull’auto di Bondi non era altro che un telefonino Motorola smontato e non funzionante. E che l’auto in uso all’allora neo amministratore delegato era stata presa a noleggio privatamente, non era in dotazione a Telecom, né era stata “prestata” da Nola, come invece è stato scritto. Per questo il giudice civile Marisa Nardo ha sottolineato come “particolarmente offensivo l’addebito, mosso a Nola, di aver fornito l’autovettura in cui era stata rinvenuta la cimice, addebito che rendeva del tutto ovvia la conclusione che egli era il principale artefice dello ‘spionaggio’ scoperto” (…) “Sotto il profilo del danno non patrimoniale deve valutarsi -scrive infatti il giudice- anche il disagio degli attori per il fatto di essersi sentiti additati, in termini di certezza, quali autori o corresponsabili di un’operazione di spionaggio pur essendo essi professionalmente preposti all’incarico di evitare proprio fatti del genere di quelli di cui erano accusati”. Con questa decisione, dichiara Vittorio Nola, “il Tribunale di Milano ha implicitamente riconosciuto la mia assoluta estraneità in merito alla vicenda della “microspia” che, tuttavia, causò un repentino allontanamento dalla Telecom Italia con conseguenti rilevanti danni”»;
a quanto risulta agli interpellanti, Bondi, oltre ad aver allontanato ingiustamente Vittorio Nola dalla Telecom consentendo così l’ingresso di Tavaroli, è stato accusato di non aver utilizzato 1,4 miliardi di euro di Parmalat per un piano industriale ed alleanze che consentisse all’azienda di non finire nelle mani dei francesi di Lactalis,
si chiede di sapere:
se risulti che Enrico Bondi abbia proditoriamente accusato Vittorio Nola, ai tempi segretario generale di Telecom Italia, inventando una finta cimice, per consentire l’ingresso di Giuliano Tavaroli ed un’azione sistematica di spionaggio a danno di cittadini, concorrenti, imprenditori e politici, ad uso e consumo di Tronchetti Provera, che il 28 maggio 2010 ha patteggiato una pena di quattro anni e due mesi, deciso dal giudice dell’udienza preliminare Mariolina Panasiti nella vicenda dei dossier illegali, che ha anche condannato, sempre attraverso il patteggiamento, a tre anni e quattro mesi Fabio Ghioni all’epoca dei fatti responsabile del tiger time interno a Telecom, la squadra che avrebbe preparato i dossier illegali;
se al Governo risulti che Bondi, non utilizzando il tesoretto di 1,4 miliardi di euro accumulato nelle casse dell’azienda di Collecchio, dopo aver elargito 4,6 milioni di euro come consulenza commissionata da Parmalat a Goldman Sachs sull’opa dei francesi di Lactalis, abbia consentito ai francesi di acquisire un’azienda come la Parmalat, costata “lacrime e sangue” a 135.000 risparmiatori truffati;
se risponda al vero che dopo tale svendita ai francesi, il Governo vorrebbe nominare Enrico Bondi alla Rai, per un’eventuale replica, o per privatizzare e dismettere l’azienda del servizio pubblico al miglior offerente;
quali misure urgenti di competenza il Governo intenda attivare per evitare che le aziende italiane possano essere svendute, come nel caso della Parmalat, da manager che, seppur circondati da un alone di competenza e di risanatori aziendali, hanno perseguito al contrario propri interessi particolari anche di tipo economico invece dell’interesse generale del Paese, dei consumatori utenti risparmiatori ed infine dei lavoratori, nominando personalità al di sopra dei sospetti che possano rispondere a requisiti di onorabilità e competenza.